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7 meraviglie antiche e moderne

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Messaggio Da matrona Gio Lug 30, 2009 6:36 pm

le 7 meraviglie del mondo antico sono:
La statua di zeus crisoelefantina di Olimpia
Il colosso di Rodi
I giardini pensili di Babilonia
Il mausoleo di Alicarnasso
Il faro di Alessandria
Il tempio di Artemide
La piramide di Cheope

Ma esistono anche meraviglie moderne:
La muraglia cinese
Il complesso di Chichèn Itzà in Messico
Il Colosseo
Il Taj Mahal in India
La statua du Cristo Redentore a Rio de Janeiro
La città perduta di Machu Pichu in Perù
Il sito archeologico di Petra in Giordania
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Messaggio Da matrona Gio Lug 30, 2009 6:51 pm

Statua di Zeus di Olimpia

La Statua di Zeus ad Olimpia fu realizzata dallo scultore greco Fidia, nel 433 a.C., ed era collocata nel Tempio di Zeus.
All'inizio del V secolo entrò a far parte della collezione di opere d'arte pagane di Lauso, che la pose nel proprio palazzo, che andò distrutto assieme alla collezione in un incendio nel 475.

Descrizione
Dimensioni e fattezze della statua sono state dunque ricostruite sulla base delle numerose descrizioni e testimonianze provenienti dagli autori classici.
L'opera d'arte in questione, infatti, conobbe un'enorme fortuna nel mondo antico (tanto da essere riprodotta anche sulle monete d'Elide del V secolo e molte volte è stata citata dagli scrittori del mondo greco e latino che crearono attorno ad essa una ricca aneddotica.

Lo storico e geografo Strabone, ad esempio, riporta un episodio (Geografia, libro VIII 3, 30) secondo cui lo stesso Fidia avrebbe detto, al suo parente e collaboratore Paneno, di aver tratto ispirazione per la scultura del suo Zeus da alcuni versi dell'Iliade: "Disse, e con le nere sopracciglia il Cronide accennò; le chiome ambrosie del sire si scompigliarono sul capo immortale: scosse tutto l'Olimpo". (Omero, Iliade I, 528-530).

Il basamento della statua crisoelefantina occupava un'area di più di sei metri per dieci, e doveva superare i 12 metri di altezza.

Le parti di legno dello Statua di Zeus e i pannelli della balaustra, vennero dipinti dal fratello di Fidia, Paneno.

L'impressione di monumentalità data dalla statua doveva essere accentuata dalla non troppo felice proporzione delle dimensioni tra essa e la struttura in cui era collocata: pur essendo il tempio di dimensioni considerevoli, la testa di Zeus, rappresentato seduto in trono, ne sfiorava il soffitto, tanto che Strabone ebbe a scrivere che, se il dio si fosse alzato in piedi, avrebbe scoperchiato il tempio. (Strabone, Geografia VIII 3, 30).

Un'esauriente descrizione ci viene dalle pagine di Pausania (Pausania, Periegesi V, 10, 2): Zeus reggeva nella mano destra una Nike (vittoria) d'oro e avorio, mentre nella sinistra teneva uno scettro su cui poggiava l'aquila d'oro, simbolo della divinità. Il dio indossa sandali e un mantello d'oro che reca immagini di gigli. Il trono è adorno in modo vario con oro, pietre, ebano e avorio.

Le parti scoperte della statua erano realizzate in avorio, mentre tutti gli attributi erano in lamina d'oro. Il trono, crisoelefantino anch'esso e decorato con ebano e pietre preziose, recava in rilievo numerose rappresentazioni di ispirazione storica e mitologica, idealmente collegate alle decorazioni già presenti nel tempio.

Secondo una controversa fonte bizantina, la statua fu trasferita a Costantinopoli verso la fine del IV secolo, presso la dimora di Lauso, collezionista d'arte ante litteram, trovando posto accanto ad altri capolavori. Qui essa rimase fino alla sua distruzione, plausibilmente avvenuta durante l'incendio di Costantinopoli del 475.

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Messaggio Da matrona Gio Lug 30, 2009 7:00 pm

Colosso di Rodi

Storia
Nel 305 a.C. il generale Demetrio, figlio di un successore di Alessandro Magno, invase Rodi con un'armata di 40.000 uomini.
La città di Rodi era ben difesa e Demetrio costruì delle enormi catapulte montate sulle navi, per distruggere le mura della città. Dopo che una tempesta gli distrusse le navi, fu costretto a costruire una torre d'assedio ancora più grande delle precedenti catapulte: i rodiesi allagarono il terreno prospiciente le mura, impedendo alla catapulta di muoversi e rendendola inoffensiva.
L'assedio fu tolto nel 304 a.C., quando il generale Politemo arrivò con una flotta in difesa della città e Demetrio dovette ripiegare abbandonando la maggior parte dell'equipaggiamento.

Per celebrare la loro vittoria, i rodiesi decisero di costruire una gigantesca statua in onore di Helios, il loro dio protettore.
La costruzione fu affidata a Chares di Lindo che aveva già costruito statue di ragguardevoli dimensioni.
Il suo maestro Lisippo aveva costruito una statua di Zeus nella antica agorà di Taranto ritenuta per la sua altezza pari a 40 cubiti (18 metri).


Caratteristiche
La statua era alta circa 32 metri. Secondo l'opinione di alcuni storici, la struttura era costituita da colonne di pietra con delle putrelle di ferro inserite al suo interno, a cui venivano agganciate le piastre di bronzo del rivestimento esterno. Per costruirla fu usata come impalcatura la torre di assedio abbandonata sul posto da Demetrio.

La costruzione terminò nel 282 a.C., dopo 12 anni. La statua restò in piedi per 56 anni, fino a che Rodi fu colpita da un terremoto nel 226 a.C., che fece crollare la statua nel mare. Politemo si offrì di ricostruirla, ma i rodiesi rifiutarono temendo l'ira del dio Helios a seguito della ricostruzione (che veniva interpretata come un'offesa nei riguardi del dio). La statua pertanto rimase sdraiata sul fondo per 800 anni ed anche così era talmente impressionante che molti andavano comunque a Rodi per ammirarla.

Tuttavia, nel 654, quando Rodi fu conquistata dagli arabi, questi ultimi portarono via la statua tagliandola in un numero imprecisato di blocchi, di cui si persero ben presto le tracce.

Secondo alcune ricostruzioni tradizionali, il Colosso di Rodi doveva raffigurare il dio Helios con le gambe divaricate ed i piedi poggiati alle estremità del porto di Mandraki (dove ora sono presenti le due colonne su cui poggiano dei cervi in bronzo) ed essere alto al punto da permettere il transito delle navi all'interno del porto, infatti si dice che fungesse anche da faro. Questa immagine tradizionale rispecchia una teoria ormai superata, dato che per garantire il passaggio delle navi le dimensioni della statua (32 metri di altezza) sarebbero state chiaramente insufficienti.

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Messaggio Da matrona Gio Lug 30, 2009 7:06 pm

I giardini pensili di Babailonia

Situati nell'antica città di Babilonia (letteralmente, Porta del Dio), vicino alla odierna Baghdad (Iraq), i giardini pensili di Babilonia furono costruiti intorno al 590 a.C. dal re Nabucodonosor II (anche se la tradizione attribuisce la loro costruzione alla regina assira Semiramide).

La leggenda vuole che la regina - raffigurata nel celebre quadro di Degas, Semiramide alla costruzione di Babilonia, e le cui gesta sono state descritte in numerose opere liriche - trovasse nei giardini rose fresche ogni giorno, pur nel clima arido che caratterizzava la città.

Va notato che nella cultura tradizionale della Mesopotamia, il significato della parola giardino somiglia a quello di paradiso. Alcuni storici, va detto, sono in disaccordo sull'esistenza reale o meno dei giardini della città di Babilonia.

La questione della localizzazione dei giardini è ancora oggi irrisolta e gli studi, ancora in corso, hanno lasciato emergere le più varie ipotesi, tra cui anche quella che Babilonia non ospitasse affatto una delle Sette Meraviglie del mondo antico, poiché le fonti antiche, pur concordando nella descrizione dei giardini, non ne forniscono alcuna localizzazione precisa all'interno della città.

Una prima teoria fu fornita dall'architetto tedesco Robert Koldewey, il primo a condurre scavi sul sito, tra il 1889 e il 1917. Egli teorizzò che i giardini dovessero trovarsi nell'angolo nordorientale del Palazzo Meridionale, poiché in quel luogo egli aveva portato alla luce un'enorme struttura coperta da volte a botte e composta da quattordici stanze, cui il muro stesso di recinzione faceva da delimitatore. Determinante fu il ritrovamento, in uno di questi ambienti, di un pozzo con dei fori, prontamente ricondotto al sistema di approvvigionamento idrico. Tale teoria aveva però il suo limite nella lontananza del sito dall'Eufrate, cui l'acqua veniva attinta per l'irrigazione, e nel fatto che l'accesso ai giardini poteva avvenire solo attraversando stanze private e uffici. Inoltre, con il proseguire degli scavi, sembrò più plausibile che le stanze portate alla luce dal Koldewey fossero ambienti destinati all'immagazzinaggio di merci.
Una seconda teoria fu avanzata da D.J. Wiseman, che colloca i giardini "sopra e a settentrione della grande muratura a ovest" del Palazzo Sud, dalla quale di sarebbero estesi i giardini, presso le rive dell'Eufrate.
Nella prima metà degli anni Novanta lo studioso D.W.W. Stevenson propose un'altra tesi (affermava infatti che i giardini non potessero trovarsi dove indicava il Wiseman poiché all'epoca di costruzione l'Eufrate aveva già coperto la zona in questione) secondo cui i giardini sarebbero stati un edificio a terrazze indipendente ma molto vicino al Palazzo Meridionale, e probabilmente a sud di esso. Di questa stuttura non abbiamo, a tutt'oggi, traccia alcuna.
Dai più recenti studi è emersa anche la teoria (sostenuta da Stephanie Dalley) secondo cui i giardini non sarebbero stati affatto situati in Babilonia, ma nella vicina città di Ninive. La Dalley ravvede nelle fonti classiche una confusione tra Babilonia e Ninive dovuta al fatto che il passaggio dal potere assiro a quello babilonese non fosse stato percepito come una soluzione di continuità dagli autori classici, che continuavano ad individuare un generico "regno di Assiria" che aveva semplicemente cambiato capitale. Inoltre, le fonti babilonesi tacciono del tutto riguardo all'esistenza stessa dei giardini, mentre le fonti assire testimoniano di importanti lavori idrici a Ninive sotto Sennacherib (668-631 a.C.) nonché della presenza di giardini presso le rive del Khors.
Babilonia era circondata da una doppia cinta di mura, interrotta dalla porta di Ishtar, attraverso la quale passava la strada principale di accesso alla città rivestita da mattonelle smaltate azzurre ed ornata con oltre 120 statue di leoni con le fauci spalancate; sopra la porta sono state trovate, dall'archeologo Robert Koldewey, le strutture a volta che costituivano la base di sostegno dei sovrastanti giardini soprelevati e terrazzati.

Considerando che all'epoca l'utilizzo del terreno con colture diverse da quelle agricole era sicuramente non usuale, la progettazione dei giardini fu un'operazione culturale di largo respiro; fu creato un orto botanico con tipi di flora non originari della zona, ed abituati a climi più umidi; per irrigare i giardini con la frequenza e la quantità di acqua necessaria, fu costruito un complesso sistema idraulico che, tra l'altro, doveva sollevare l'acqua dal fiume. I terrazzamenti per ricavare i giardini furono costruiti interamente in pietra e vengono citati anche da Erodoto.

L'impianto di irrigazione fu per la prima volta oggetto di studio da parte di D.W.W. Stevenson che, basandosi esclusivamente sulla descrizione degli autori classici, ipotizzò che il sistema adottato fosse quello detto norias, metodo di cui si trovano tracce in Oriente già a partire dal XIV secolo a.C. Nel caso dei giardini di Babilonia, esso doveva essere applicato in questo modo: alla base della scalinata dei giardini vi erano due grandi bacini che ricevevano acqua dall'Eufrate a mezzo di condutture sotterranee. Ai bacini erano connesse delle ruote che recavano, all'interno del bordo, secchi di legno o vasi d'argilla. quando le ruote venivano azionate dalla forza umana, questi ultimi si riempivano per poi lasciar ricadere l'acqua in un collettore sito al piano superiore, dove avveniva lo stesso precedimento, fino a raggiungere il livello più alto. Qui si trovava una cisterna da cui l'acqua poteva facilmente essere ridistribuita, attraverso condotti a caduta, a tutta la superficie dei giardini, sia a scopi irrigui che con funzione ornamentale.

Nei giardini pensili di Babilonia sono ambientate alcune scene dell'opera Semiramide[1] scritta da Gioachino Rossini su libretto di Gaetano Rossi (da Semiramis di Voltaire), rappresentata al Teatro La Fenice di Venezia il 3 febbraio 1823.

Dalle gazzette d'epoca si apprende che nella scenografia progettata per la prima veneziana da Giuseppe Borsato i giardini babilonesi erano raffigurati da basse costruzioni, due a uno e una a due piani, sovrastate da enormi piante pendule. Qui, seduta all'interno di un fiorito berceau, Semiramide può liberare al meglio il suo canto e dare vita alla celebre aria con susseguente cavatina Bel raggio lusinghier. Già una decina di anni prima di Semiramide Rossini aveva ambientato nell'antica Babilonia un'altra delle sue opere, Ciro in Babilonia.

Alla figura di Nabucodonosor II si ispirò invece Temistocle Solera per scrivere il libretto dell'opera Nabucco musicata da Giuseppe Verdi.

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