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Messaggio Da matrona Sab Giu 19, 2010 8:44 pm

Dott. Carlo Zumstein, Ph.D., psicoterapeuta
Traduzione a cura di Lorenza Menegoni


In questo articolo, Carlo Zumstein, psicoterapeuta svizzero, discute la possibilità di integrare i metodi sciamanici nel trattamento convenzionale delle depressioni.
Basandosi su di una lunga esperienza in entrambi i campi, Zumstein suggerisce dei modi per integrare le due discipline, rispettandone i distinti metodi e sfere di intervento.
La sua interpretazione della depressione consente di vedere questa condizione non solo come una malattia psichica, ma anche come una malattia spirituale, che può essere alleviata e curata con il trattamento sciamanico.

L’approccio sciamanico di Zumstein si inserisce nell’ambito della metodologia del “core shamanism” (sciamanismo transculturale), sviluppata dall’antropologo americano Michael Harner, fondatore e direttore della Foundation for Shamanic Studies (Mill Valley, California).
Carlo Zumstein si è formato attraverso i programmi di addestramento della Foundation, studiando per molti anni con Michael Harner e Sandra Ingerman.
Ha inoltre partecipato alle tre spedizioni della Foundation a Tuva (Asia centrale), dove ha potuto fare importanti esperienze nel campo dello sciamanismo asiatico-siberiano.
Possiede un certificato nel Counseling sciamanico, il metodo di consulenza sciamanica sviluppato da Harner e descritto in questo articolo.

Carlo Zumstein è uno dei Faculty member (insegnanti incaricati), che rappresentano la Foundation for Shamanic Studies in Europa, e dirige la sezione svizzera e italiana della Foundation.
Tiene seminari di base e avanzati in Svizzera, Germania e Italia.
E’ autore di tre libri: “Reise hinter die Finsternis” (“Viaggio oltre l’oscurità”, Ariston, Monaco, 1999); “Shamanismus: Begegnungen mit der Kraft” (“Sciamanismo: incontri con il potere”, Hugendubel, Monaco, 2001); “Der Shamanische Weg des Traumens” (“La via sciamanica del sognare”, Ariston, Monaco, 2003).

Questa traduzione è basata sul testo, riveduto e ampliato, di una conferenza presentata dall’autore al 1° Congresso del World Council for Psychotherapy, Vienna, 2 luglio 1996.
L’articolo è stato pubblicato sulla rivista Anthropos & Iatria (Anno VII, Numero III, Luglio-Settembre 2003, pp. 72-83) e sul sito web www.medicinealtre.it (Anthropos & Iatria VII, III).
_____________________________________________________

Introduzione
I metodi impiegati attualmente nel trattamento della depressione si basano su approcci che integrano i fattori biologici, psicologici e sociali.
I modelli psico-bio-sociali della depressione – per esempio, quello proposto da Daniel Hell nel suo libro Welchen Sinn macht Depression (1994) – prendono in considerazione soltanto le dimensioni esperienziali e comportamentali della coscienza ordinaria e dello stato di veglia cosciente e la realtà ordinaria associata con quello stato di coscienza.
Ma le depressioni – come pure le psicosi – sono caratterizzate da una fuga dalla realtà ordinaria.
Nel lavoro psicoterapeutico con persone depresse, si è dimostrato utile e significativo cercare risposte a domande come:

Dove si ritraggono le persone depresse?
In che tipo di realtà cercano rifugio?

Domande come queste sono spesso poste in contesti che implicano un pregiudizio.
La fuga dalla realtà ordinaria è normalmente svalutata come una fuga in un mondo privato di sogni o fantasia.
Il tentativo di fuga è interpretato come un sintomo addizionale della malattia.
In questa conferenza, mi propongo di dimostrare come sia possibile disporre di una gamma più ampia di opzioni nel trattamento delle persone depresse, quando è consentito alla mente di regredire a uno stato arcaico di coscienza e realtà.
Questa regressione della coscienza può essere raggiunta per mezzo dei metodi terapeutici sciamanici.

Lo sciamanismo è nato migliaia di anni fa durante lo stadio magico dell’evoluzione della coscienza umana.
La parola “magico” non è usata qui nel senso di infantile o primitivo, ma per riferirsi all’unità primordiale – nel linguaggio odierno, “spirituale” – con i poteri dell’universo.
La coscienza umana si è evoluta attraverso una lunga storia di sviluppo ed è quindi possibile per essa regredire a stadi evolutivi precedenti.
Considerare la depressione in questa dimensione aiuterà ad espandere la nostra comprensione dei disordini depressivi.

Note
Non si sostiene che la regressione della coscienza sia la causa dei disordini depressivi.
La supposizione che tale regressione sia avvenuta rappresenta un’ipotesi proficua e pratica, che si è dimostrata estremamente utile in un certo numero di casi.
Un cambiamento nella coscienza produce sempre un cambiamento nella realtà.
Per esempio, con l’evoluzione della visione prospettica, la realtà nel suo insieme ha cominciato ad essere percepita in modo spaziale.
Nella psicologia contemporanea, l’anima stessa è paragonata a uno spazio interiore, seppur immaginario.
L’apparato psichico è un costrutto; sia il superconscio che il subconscio sono sfere spaziali.
La coscienza e la realtà formano un’unità basata, in definitiva, sul mondo stesso.
Tutto ciò che esiste ha – o meglio è – coscienza.
La realtà è coscienza del mondo come questo appare agli esseri umani nella loro consapevolezza. Per tale motivo, in questa discussione, si preferisce utilizzare l’espressione “coscienza-realtà”.
La storia evolutiva dell’intera razza umana è riflessa nell’evoluzione dell’individuo e questo vale anche per la coscienza.
Anche in questo caso, l’ontogenesi riflette la filogenesi.

L’evoluzione della coscienza
Nella sua opera Gesaumtausgabe, Jean Gebser distingue cinque stadi di sviluppo nell’evoluzione della coscienza (vol. II-IV, Novalis Publishers, Schaffhausen, 1978; 1° ed. 1949, 1953).

1)La coscienza arcaica
Lo stato arcaico di coscienza corrisponde al senso di completa sicurezza e protezione, che il bimbo non ancora nato sperimenta nel grembo materno.
Equivale essenzialmente al vivere “..nello stato paradisiaco, in quanto la persona è ancora totalmente circondata, indivisa e indifferenziata dal cosmo, dall’universo…” (Gebser, 1978, pag. 15), che, per il bambino, è rappresentato dalla madre.
Nella sua identità con il cosmo, l’essere umano dei tempi preistorici non ha né coscienza riflessa né sogni notturni.
E’ ancora totalmente indiviso e perciò non ha bisogno di rappresentazioni interiori di sé e del mondo.
Se confrontassimo le loro menti con lo stato di coscienza attuale, ci sembrerebbe che l’uomo arcaico sia vissuto in uno stato crepuscolare e sonnolento e non fosse ancora completamente sveglio.
Questo è probabilmente lo stato arcaico di identità con il tutto – un’unione che continuiamo a desiderare per tutta la vita.

2)La coscienza magica
Simultaneamente al suo arrivo nel mondo esterno, il neonato ottiene anche il suo posto nel mondo. Il suo stato di identità con la totalità arcaica è interrotto.
Il bambino è immediatamente messo di fronte al compito di far conoscere i propri bisogni vitali e deve darsi da fare affinché questi siano soddisfatti.
Il soddisfacimento dei bisogni vitali è assicurato, quasi per magia, dall’ambiente del bambino, di solito attraverso le cure prestate dalla madre.
Egli non ha nemmeno bisogno di essere completamente sveglio.
Il lattante è ancora totalmente un corpo, sul corpo della madre, in uno stato di unità, ma non di identità con essa.
E’ come se l’infante fosse ancora radicato in lei, percependo dalle profondità del suo corpo, ricevendo calore, amore e conforto, ma anche ascoltando.
Nella sua capacità di ascoltare, egli appartiene ancora interamente alla madre.
La capacità di vedere è subordinata.
Il bambino passa la maggior parte del tempo dormendo.
Raramente è attivo consciamente, semplicemente indulge nella gioia del movimento.
Piuttosto che pensare, semplicemente guarda con stupore; piuttosto che parlare, si concede di balbettare.
E’ senza tempo e senza spazio, totalmente presente nell’attimo corrente in cui ogni cosa è, o può essere, evocata semplicemente desiderandola, grazie all’onnipresenza della madre.
Questo è lo stato della sicurezza magica, del benessere totale e della piena appartenenza al mondo.
Magico” non è qui sinonimo di “miracoloso”.
Anche per l’individuo preistorico, il “magico” rappresenta una relazione con i poteri del mondo e questa relazione è determinata dall’immediatezza e dalla corporeità.
I bisogni basilari del corpo e il loro soddisfacimento occupano il punto focale della sua coscienza e della sua realtà.
Tuttavia, egli deve aver già avuto la consapevolezza del suo essere distinto dal mondo – non più avvolto nell’abbraccio protettivo del mondo, ma inserito e parte di esso.
Si può attribuire lo stato di coscienza dei cacciatori e raccoglitori del Paleolitico alla coscienza magica.
Il mondo dava loro ciò di cui avevano bisogno, o essi semplicemente prendevano ciò di cui avevano bisogno.
Vivevano in unione con il mondo e con il clan.
Vivendo in stretto contatto con la Madre Terra, impararono a mettere i suoi poteri al loro servizio.
Per farlo, non avevano bisogno di essere svegli o consapevoli nel senso moderno di queste parole, né avevano ancora bisogno di pensare in modo logico.
Vivevano in uno stato di connessione materiale e corporea con l’ambiente immediato.
Questo era ancora uno stato antecedente all’io per entrare in relazione con il mondo.
L’uomo primitivo poteva collocare i suoi orecchi sulla Terra, ascoltarla ed essere connesso con i suoi poteri.
L’epoca della coscienza magica è stata l’era in cui è sorto lo sciamanismo.
Si potrebbe dire che nella sua ricerca di fertilità, protezione e poteri di guarigione per mezzo dell’unione con la terra, l’uomo del Paleolitico è regredito allo stato precedente di identità arcaica, ma non più nel senso di un dissolversi nel tutto.
Dotato di una coscienza rudimentale della propria identità, egli scelse di fondersi con un potere specifico, generalmente con lo spirito di un animale, ma a volte anche con un elemento – acqua, fuoco, ecc. – o con gli spiriti ancestrali.
La regressione sciamanica non è una ricaduta nell’unità arcaica del tutto.
E’ invece l’unione, cercata consapevolmente, con particolari esseri di potere per scopi e occasioni particolari, per esempio, durante i rituali di caccia e di guarigione.
In termini moderni, si potrebbe descrivere questa regressione come una trasformazione dello stato arcaico di coscienza.
Sebbene sia un ritorno a uno stadio precedente di sviluppo, la regressione avviene deliberatamente e da un punto di maggior vantaggio.

3)La coscienza mitica
L’essere umano si risveglia dall’assopimento magico, diventa consapevole di se stesso e del mondo e si rende conto che è separato da quel mondo in un mondo solo suo.
Ha scoperto la propria anima personale.
Ora può sperimentare l’io e il tu, il soggetto e l’oggetto sia come polarità complementari, che come opposti inconciliabili.
Gebser descrive questo processo come un “risvegliarsi alla polarità” e ammonisce che questa consapevolezza può intensificarsi fino a diventare conflitto.
Ancora legato integralmente alla famiglia, il bambino scopre sia il proprio ego sia i conflitti inerenti nelle lotte contraddittorie della propria anima.
Questa è la genesi dell’essere umano psicologico, che è dotato di specifici affetti ed emozioni, con una relazione unica con se stesso, con gli altri e con il mondo.
L’essere umano possiede ora un’anima individuale interiorizzata.
E’ diventato oggetto della propria percezione.
Mentre continua a evolvere, il suo mondo interiore diventa il campo di un gioco energetico, sempre più finemente differenziato, di istinti, affetti, emozioni e bisogni.
E’ stato questo che ha portato Freud a formulare il concetto dell’apparato psichico e a sviluppare le sue idee sulle psicodinamiche.
Poiché è stato separato dall’unione con il mondo, l’essere umano deve iniziare a pensare, spiegare, descrivere e documentare.
Deve inoltre cominciare a sognare, in quanto ora ha un proprio mondo interiore in cui ritirarsi durante il sonno.
Egli spiega il mondo a se stesso, descrivendo la sua relazione con il mondo e il suo posto in esso nella forma di miti, fiabe ed epiche.
Sviluppa cosmologie e fonda religioni.
Attribuisce i poteri che operano nel mondo a figure mitologiche o a divinità immateriali.

4)L’essere umano mentale-razionale
L’essere umano mentale-razionale è l’uomo odierno modellato da una società altamente meccanizzata, che lo allontana ancora di più dal fondamento primordiale dell’essere.
I poteri del mondo sono spiegati nei termini delle scienze naturali.
I loro effetti sono riproducibili e possono essere sfruttati a scopi industriali.
La consapevolezza di sé rischia di degenerare in isolamento egocentrico.
Molte persone stanno cercando i modi per ritornare alle loro radici, studiando gli insegnamenti antichi per ritrovare le conoscenze perdute, cercando di accedere alla coscienza arcaica, magica e mitica.

5)Le conseguenze dell’evoluzione della coscienza
Questa divisione, piuttosto grossolana, della storia umana in “mutazioni epocali della coscienza” può aiutarci a capire meglio certi fenomeni della coscienza come il sonno, i sogni, l’estasi, gli attacchi di panico, le reazioni di shock, l’irrompere degli affetti primari, ma anche le malattie mentali come la depressione.
Tutti questi fenomeni possono essere interpretati come delle regressioni a modalità precedenti della coscienza.
(Per quanto ne sappia, non è ancora stata fatta alcuna ricerca per esplorare le possibili relazioni tra le malattie mentali e l’evoluzione della coscienza.)
Il sonno può essere interpretato come un ritorno notturno allo stato arcaico di coscienza.
La persona che dorme rimane sufficientemente consapevole da poter essere svegliata.
Perfino senza svegliarsi, chi dorme è in grado di soddisfare i bisogni corporei, per esempio, per cambiare posizione.
Anche i sogni possono essere visti come una regressione della coscienza.
Un’attività interna dei sensi ha luogo durante lo stato di coscienza regredita, ottenuto attraverso la deprivazione sensoriale.
Semmai diventiamo consapevoli di questo stato, normalmente lo diventiamo solo dopo esserci svegliati dai nostri sogni.
Il sognare è legato alla nostra abilità interna di formare rappresentazioni di noi stessi e della nostra realtà.
Ciò significa che, nei termini della storia evolutiva, i sogni risalgono a un’epoca in cui l’essere umano si è già distanziato dalla precedente identità con il mondo.
Ha sviluppato uno spazio interiore personale e ha iniziato a sperimentare se stesso in un rapporto di polarità – forse perfino di opposizione – con il mondo esterno.
Il sognare implica il diventare consapevoli delle azioni di poteri ed entità interne.
E’ la continuazione di esperienze interne ed esperienze esterne, legate allo stato di veglia, entro lo spazio interiore dell’individuo.
E’ indipendente dal tempo, dallo spazio e dalla logica razionale.
Mentre sogniamo, possiamo ritornare a uno stato arcaico di coscienza e ottenere intuizioni circa le connessioni ed interrelazioni cosmiche.
Probabilmente, C.G. Jung descriverebbe le esperienze oniriche di questo tipo come sogni archetipi.
Fondamentalmente, comunque, i sogni sono implicati nelle dinamiche della nostra vita interiore personale.
Sono convinto che almeno una regressione parziale abbia luogo negli stati di depressione clinica e che questa regressione ci riporti allo stato arcaico di coscienza.
Tuttavia, diversamente dal sonno e dai sogni (dai cui lacci normalmente ci liberiamo al risveglio), la depressione acuta è una prigione dalla quale l’individuo è raramente capace di liberarsi senza un aiuto esterno.

Il Volto Nascosto della Depressione
La depressione può essere vista come una dissociazione della coscienza, combinata con la regressione a uno stato arcaico di coscienza.
E’ come se la coscienza si fosse scissa in due parti.
Una parte della personalità rimane consapevole dell’io e fissata sul conflitto dell’anima.
Questo dilemma insorge quando l’anima pone richieste e aspettative troppo alte per la persona, che si sente ancora totalmente incapace di soddisfarle.
Allo stesso tempo, un’altra parte della personalità è regredita a uno stato arcaico e crepuscolare.
All’osservatore esterno questo appare come il lato intorpidito, storpiato e depresso della persona, che si è allontanata dalla vita e dalla vitalità.
Le persone depresse sono anche dissociate dalla loro paura.
Questa non è più percepita come uno stimolo interno di auto-protezione, ma è invece sperimentata come un potere esterno mortale, la cui potenza primordiale e terrificante schiaccia l’individuo.
Sebbene la paura giochi un ruolo essenziale nella depressione, è più il risultato, che non la causa della perdita di realtà, di cui soffre la persona depressa.
Dal punto di vista della psicopatologia tradizionale, in cui i disordini delle funzioni psicofisiche sono definiti sulla base della coscienza nello stato di veglia, la perdita di motivazione è il sintomo centrale della depressione.
Il blocco delle funzioni e abilità vitali centrali è associato a questa perdita, assieme alla rottura dei legami tra impulsi e inibizioni.
Siamo ancora impotenti quando cerchiamo di affrontare le cause di questa perdita dell’energia vitale.
Le funzioni vitali essenziali, come le funzioni motorie, l’appetito, la digestione, gli affetti, le emozioni e la libido sono bloccate.
Eppure, allo stesso tempo, le persone depresse sono tormentate da sentimenti di inquietudine che, nonostante la profonda stanchezza, non permettono loro di addormentarsi.
Sperimentano una totale assenza di pensieri, oppure soffrono di un interminabile circolo vizioso di pensieri tormentosi di auto-accusa e auto-denigrazione, di sentimenti di inutilità e di colpa e la certezza della propria impotenza.
L’unica via di scampo da questo tormento sembra essere il suicidio.
Sono dominati dalla paura della povertà e da paure primarie di tutti i tipi.
E un fatto ben noto che le persone depresse reagiscono al loro ambiente soltanto in misura ridotta, che a volte si ritraggono completamente, non escono dal letto e trascurano il loro aspetto esteriore.
Nessun stimolo esterno è in grado di attivarli: sono indifferenti, apatici, assenti.
Sperimentano le sfide della vita quotidiana come un peso enorme e insopportabile.
Le cose di tutti i giorni perdono qualsiasi significato, in quanto l’individuo ha perso ogni legame con quelle sfide.

Affermazioni delle persone depresse
“Non sono più qui….gli altri sono lontani da me….non ho più alcun legame con i miei beni, hanno perso ogni significato per me….ogni cosa è semplicemente troppo per me….non riesco più a sentire me stesso….il tempo non passa mai….non posso prendere alcuna decisione….non riesco nemmeno a fare le cose più semplici….far la spesa è diventato impossibile….non so più cucinare….non valgo niente….fallimenti ovunque….sono un peso per tutti….”Le persone depresse tendono anche ad avere l’effetto di intorpidire e smorzare l’ambiente circostante.
Questo senso di spegnimento suscita spesso delle reazioni di rifiuto e disagio, e perfino minacce, da parte della famiglia e degli amici.
L’agitazione e l’iperattività sono reazioni frequenti, come lo sono i consigli del tutto inutili come “Devi solo volerlo”, “Puoi tirarti su da solo”, “Non darti per vinto” o “Non prendertela”. Intorpidimento e ottundimento da parte dell’individuo depresso suscitano reazioni opposte di agitazione e attività febbrile da parte della famiglia e degli amici.
Le persone depresse non si sentono tagliate fuori soltanto dalla famiglia e dagli amici, ma anche dalla realtà quotidiana, come se vivessero fuori dal tempo e dallo spazio.
Le connessioni più semplici non sussistono più ed essi trovano impossibile mantenere il senso dell’orientamento.
Dove si trova la persona che non è più qui, quando i suoi rapporti con ciò che la circonda sono interrotti?
Molte di queste persone riferiscono: “C’è il vuoto dentro di me….non ho più sentimenti….tutto è nero dentro di me….non sono più qui….non sono realmente da nessuna parte….solo ansia, inquietudine e questa paralisi mortale….voglio essere ancora al centro della vita….non mi sveglio mai del tutto al mattino….”
La depressione sembrerebbe essere una malattia a due facce.
Sono visibili a tutti la perdita di energia, l’angoscia ossificata, l’ansia, l’impotenza e l’allontanamento dalla realtà quotidiana.
Sono udibili le lamentale dell’individuo depresso circa i fardelli della vita, i suoi sentimenti di inferiorità e i sensi di colpa.
Di continuo si possono udire le persone sofferenti esprimere il loro desiderio di morte.
Qual è l’altro lato, il volto nascosto, della depressione? Esiste realmente questo aspetto che rimane in ombra? Il desiderio di morte espresso da così tante persone depresse ci mostra la direzione del loro sguardo.
“Vorrei essere morto….preferisco morire che continuare ad affrontare questi tormenti….non sono fatto per questa vita…. mi manca tutto ciò che è necessario per vivere in questo mondo…voglio ammazzarmi….”
Senza dubbio, ognuno di voi ha ascoltato delle persone depresse esprimere tali sentimenti.
Fin tanto che la morte rappresenta uno spettro terrificante che allontaniamo dalla mente, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per liberare la mente delle persone depresse da tali pensieri cupi.
Le espressioni di un desiderio di suicidio sono un’indicazione medica della necessità di ricovero in ospedale e di trattamento con farmaci.
Tuttavia, se le esperienze, che provengono da una sfera separata dalla normale coscienza di veglia, non fossero attribuite sommariamente a una coscienza non strutturata, se ci aprissimo per capire le profondità evolutive della coscienza, forse allora potremmo capire il desiderio di morte come un anelito per ritornare allo stato di unità con il tutto.
Durante l’epoca antica in cui eravamo ancora avvolti nell’abbraccio protettivo del cosmo, l’unione era il nostro modo primario di essere.
Noi tutti bramiamo di ritornare a quello stato e – prima o poi – dovremo tutti ritornarci.
Le persone depresse sono profondamente consce di questo; possiedono una consapevolezza intensificata della morte.
Per il resto di noi – limitati come siamo alla coscienza di ogni giorno – il desiderio di morte sembra essere il nemico mortale della vita e noi associamo la morte con sentimenti di paura e terrore.
Le persone depresse non possono parlare di questo con noi, o perlomeno possono farlo soltanto nelle forme cariche di terrore comuni nella nostra società.
Di conseguenza, la loro visione soggettiva dell’esperienza della depressione ci rimane per lo più celata.
Tendiamo anche a valutare gli altri sintomi della depressione come elementi di un intrico di sintomi negativi, una prova del fallimento a far fronte alle richieste della coscienza normale di veglia.
Per lo stesso motivo, tuttavia, la mancanza di stimolo e motivazione, la mancanza di sensualità e piacere – tutte queste cosiddette “mancanze” – potrebbero essere ugualmente espressioni del fatto che la mente delle persone depresse è diretta verso il passato, verso una fase precedente dell’evoluzione della coscienza.
Se, come notato sopra, la coscienza crea veramente la realtà, allora l’essere umano depresso è di fatto regredito a un livello arcaico di coscienza-realtà.
Questa ipotesi ha realmente un senso: solamente ritornando a una fase della coscienza caratterizzata dall’identità con il cosmo, ci avviciniamo alla possibilità di dissolverci nella totalità del cosmo.
Questo dissolvimento è anche il cammino spirituale verso l’esperienza di comunione con l’universo.
Naturalmente, la differenza sta nel fatto che l’esperienza spirituale presuppone la capacità di ampliare, in modo consapevole e intenzionale, il nostro sguardo per comprendere tutti gli stati di coscienza, combinata con un solido ancoraggio nella realtà quotidiana.
La persona depressa è priva sia della visione sinottica che di un ancoraggio sicuro; non ha alcun indizio circa ciò che gli sta accadendo nell’altro livello.
La coscienza stessa, che a noi appare come la cosa più vicina e naturale, si manifesta simultaneamente come la cosa più misteriosa.

Un esempio clinico
Ursula ha cinquant’anni ed è la madre di tre figli, il più giovane dei quali è afflitto dalla nascita da un grave difetto cerebrale.
Ursula è venuta da me per la prima volta dieci anni fa, dopo aver sofferto per tre inverni di una depressione, che il medico di famiglia aveva cercato di curare con farmaci.
Più di tutto, Ursula si lamentava di una specie di frattura, una divisione di se stessa in un lato estremamente esigente e antagonista, che identificava con i genitori, e un lato infantile che bramava immergersi in un mondo interiore di fantasia.
Come nel caso di molte persone depresse, così anche per Ursula: il primo piano era occupato da lamentele e auto-recriminazioni riguardo il suo fallimento come madre, moglie e donna di casa in rapporto agli standard dei genitori, che ancora dominavano il suo sistema di valori.
Gradualmente, tuttavia, ella iniziò a rivelare altri aspetti della sua regressione.
Confidò che perfino da bambina aveva cercato di sfuggire alle pressioni imposte dai genitori e dagli insegnanti ritirandosi in un altro mondo, un mondo in cui poteva sperimentare unicamente sentimenti di sicurezza e conforto.
Era là che attingeva l’energia che le consentiva di sopportare le ferite emotive e psichiche, che aveva subito durante molti anni di abusi sessuali.
Rasenta l’ironia il fatto che Ursula trovasse più facile parlare dell’abuso sessuale, che non del suo mondo di fantasia.
Si sentiva in colpa perché bramava continuamente questo stato di immersione, anche se la sua vita era cambiata drasticamente.
Nonostante si sentisse felice con il marito e con i figli, sentiva ripetutamente il bisogno di ritirarsi nel suo letto e andare in quell’altro mondo.
Ma ora, invece di renderla più forte come nel passato, queste fughe la rendevano sempre più debole e meno capace di far fronte alle esigenze della vita quotidiana.
Nel vero senso della parola, Ursula era bloccata in un corridoio oscuro tra due mondi, sospinta avanti e indietro lungo quel passaggio dall’ansia, senza un’ancora affidabile, incapace di trovare un rifugio sicuro.
Sperimentava questa divisione a livello fisico: sentiva che il lato sinistro del suo corpo era il suo lato infantile e magico, mentre il lato destro apparteneva ancora ai genitori, invece che a lei.

Dimensioni Evolutive della Coscienza
L’ipotesi che le depressioni siano correlate con una dissociazione della coscienza e una regressione alla fase arcaica, può aiutarci a capire in che tipo di realtà si ritraggano le persone che soffrono di malattie depressive.
Per quanto ne sappia, questo approccio non è ancora stato investigato.
Voglio comunque sottolineare chiaramente che non sto ipotizzando che la regressione della coscienza o gli stati alterati della consapevolezza siano le cause della depressione.
La mia ricerca per scoprire in che tipo di realtà si rifugino le persone depresse, e i miei sforzi per capire lo stato di coscienza associato con quella fuga, mi hanno consentito di reinterpretare la depressione come un’esperienza spirituale male indirizzata.
Avendo volto le spalle alla vita quotidiana, le persone depresse si confrontano con dimensioni della coscienza, con le quali il resto di noi deve imparare a vivere nuovamente.
Il volo apparente in un mondo privato è un sintomo ulteriore della depressione, che possiede un enorme significato pratico.
Le persone che soffrono delle gravi depressioni, chiamate “maggiori” o “endogene”, hanno abbandonato la realtà quotidiana, o perché esperienze traumatiche hanno sciolto i loro contatti con la realtà, o perché non sono mai state capaci di sviluppare un ancoraggio sicuro.
La depressione come una sofferenza primaria cristallizzata è più che la tristezza per la perdita di una persona amata: è anche una paralisi per la perdita di realtà.
Le persone depresse non si sentono più a loro agio in alcuna realtà.
Sono state abbandonate dalla realtà.
Rimarranno abbandonate fino a quando non insegneremo loro a muoversi – navigare – tra le realtà.

Lo sciamanismo e l’evoluzione della coscienza
Piuttosto che provocare una scissione della coscienza, i metodi sciamanici offrono dei modi efficaci per imparare a espandere la consapevolezza, così da penetrare più pienamente le profondità e potenzialità della coscienza.
Gli etnologi e gli antropologi meritano la nostra gratitudine per averci fornito un gran numero di conoscenze sullo sciamanismo, nelle sue forme originali e derivazioni contemporanee.
Particolare gratitudine è dovuta a quei ricercatori, che inoltre hanno esplorato lo sciamanismo dall’interno, percorrendo essi stessi il cammino dello sciamano.
Michael Harner, un professore americano di antropologia, ha studiato di prima mano i metodi sciamanici, che ancora sopravvivevano nelle poche oasi rimaste delle culture indigene, e ha reso quei metodi accessibili alle persone “civilizzate” attraverso lo sviluppo del cosiddetto Core Shamanism (sciamanismo transculturale).
Rendere lo sciamanismo accessibile a noi, significa renderlo qualcosa che possiamo imparare e sperimentare. Significa mostrarci dei metodi pratici per riscoprire le nostre radici sciamaniche. (Si veda, Michael Harner, The Way of the Shaman, Harper & Row, San Francisco, 1980, 1990; ed. it., La via dello sciamano, Mediterranee, 1995).
La riscoperta di questa antica conoscenza circa le esperienze, che diventano accessibili durante gli stati alterati di coscienza, rende possibile capire le irruzioni spontanee di tali esperienze nella vita degli esseri umani.
Questa riscoperta rende anche possibile denunciare l’errore di discreditare, in modo sommario, tutte le possibilità esperienziali primordiali, considerandole esperienze patologiche.
Lo sciamanismo, nella forma del Core Shamanism, può essere classificato tra i vari metodi per espandere la coscienza.
Non è un metodo psicologico, tuttavia, e non dovrebbe essere semplicemente incorporato nella psicologia.
Nemmeno è una forma di psicoterapia.
Vorrei ammonire esplicitamente contro il tentativo, troppo frettoloso, di “psicologizzare” lo sciamanismo, cercando di “integrarlo” nel contesto dei metodi psicologici odierni.
Come ho spiegato sopra, lo sciamanismo e la psicologia derivano da fasi totalmente diverse dell’evoluzione della coscienza.
Prestare adeguata attenzione alle fondamentali differenze cosmologiche e metodologiche tra i due campi, richiederebbe più tempo e più spazio di quanto questa conferenza consenta.
Considerato nei termini della storia dell’evoluzione della coscienza e, in particolare, della fase di unità magica con l’ambiente, lo sciamano primitivo può essere visto come qualcuno che sa come regredire allo stato arcaico di identità con l’universo.
La sua intenzione, tuttavia, non è di dissolversi e annientare se stesso, anche se egli cerca l’unione con i poteri dell’universo.
Lo sciamano incontra questi poteri come le energie essenziali delle piante, degli animali, degli elementi e nella forma dei fenomeni innumerevoli che lo circondano.
Attraverso l’identificazione temporanea con i propri spiriti aiutanti personali, egli può far uso del loro potere e della loro saggezza allo scopo di ottenere guarigione, protezione, forza, difesa, fertilità, ecc.
La natura apparentemente primitiva dello sciamanismo è anche il suo maggior vantaggio.
Poiché lo sciamanismo è una tecnica arcaica per modificare la coscienza, i suoi metodi possono insegnarci a riscoprire il senso perduto di armonia con il fondamento originario dell’essere.
Poiché è un metodo arcaico, i poteri cosmici si manifestano allo sciamano nei loro aspetti originari come gli spiriti degli animali, delle piante e degli antenati. Il potere ha sempre bisogno di una forma in cui manifestarsi: questo principio vale anche per la realtà ordinaria.
Il metodo centrale dello sciamanismo è il viaggio nella “realtà non ordinaria” (un termine coniato da Carlos Castaneda).
La deprivazione sensoriale, creata dal tambureggiamento prolungato e monotono, accompagna un’espansione della nostra coscienza-realtà ai livelli arcaici, a strati cosmico-universali dell’essere e, in definitiva, al senso di identità con il mondo come un tutto.
Usando la metodologia dello sciamanismo, il praticante sciamanico immagina di aver trovato un’entrata nella terra in un luogo nella natura scelto in precedenza.
Entrando nella terra, trova un tunnel e, quando passa oltre l’uscita luminosa di questo tunnel (che l’ha portato nelle profondità della terra), si ritrova nella realtà non ordinaria.
Qui, con l’aiuto dei suoi spiriti aiutanti, cerca la soluzione dei problemi che è andato là per risolvere.
Questa breve introduzione allo sciamanismo, nei termini dell’evoluzione della coscienza, sarà sufficiente per gli scopi del momento.
Durante queste settimane avete avuto molte opportunità di lavorare con guide competenti, che vi hanno introdotto agli aspetti etnologici e antropologici dello sciamanismo.
Nel nostro contesto, sono di particolare importanza i seguenti punti:
1)Lo sciamano va sempre nella realtà non ordinaria con un’intenzione ferma e ben precisa.
Si lascia guidare dalla sua missione di guarigione – cioè, dal lavoro di guarigione che intende effettuare per un individuo, per la comunità o per la natura come un tutto.
2)Quando è entrato nella realtà non ordinaria, egli incontra sempre i suoi spiriti aiutanti o alleati.
E’ attraverso la connessione con questi spiriti che ottiene il potere di guarire.
3)Dopo aver terminato il viaggio, lo sciamano ritorna sempre nella realtà ordinaria, dove può trasmettere agli altri la conoscenza e il potere dei suoi spiriti.
È quindi in grado di fungere da messaggero tra le realtà in maniera efficace e intelligibile.
Se rimanesse nella coscienza-realtà degli spiriti, sarebbe un pazzo inutile e inefficiente.

La Depressione e lo Sciamanismo
Le depressioni – e probabilmente anche le esperienze psicotiche – hanno radici comuni nelle potenzialità arcaiche della coscienza, simili a quelle che sono alla base dei metodi sciamanici.
L’essere umano depresso regredisce, con una parte essenziale della sua coscienza, a un livello arcaico di coscienza-realtà.
Questo livello è caratterizzato da uno stato, simile al sonno, di vitalità ridotta, dall’annullamento del tempo, dello spazio e del significato e dalla prossimità alla morte.
Allo stesso tempo, l’ego-coscienza dell’individuo depresso, che si è formata attraverso le sue esperienze nello stato ordinario di veglia, rimane consapevole e desta. L’individuo depresso vive in entrambi gli stati simultaneamente.
Da un lato, è bloccato e incapace di armonizzarsi con i poteri dell’universo, dall’altro non è sufficientemente desto per poter far fronte alle richieste della vita quotidiana.
Le conseguenze sono ansia e disperazione: egli piange per la sua incapacità di vivere pienamente e si addolora per l’incapacità di essere adeguato nell’una o nell’altra realtà.
Dal punto di vista sciamanico, l’ansia sospinge incessantemente le persone depresse avanti e indietro lungo il tunnel oscuro tra le due realtà.
Esse non sono né ancorate nella realtà ordinaria, né hanno trovato degli alleati in quella non ordinaria, cioè, sono separati dalle energie universali di tutte le cose viventi.
Per esprimere questo concetto in termini un po’ esagerati, potremmo dire che la persona depressa, intrappolata nel suo oscuro mondo intermedio, deve imparare – come lo sciamano – a muoversi tra le coscienze-realtà, per attingere potere ed energia dalla realtà non ordinaria e per ancorarsi nella realtà ordinaria.
Lo sciamano ha imparato a muoversi avanti e indietro tra le due coscienze-realtà.
Questa abilità è una delle sue capacità centrali ed egli fa estrema attenzione a sostenerla e affinarla.
Lo sciamano è colui che attraversa i confini tra le due realtà.
E’ un messaggero – un messaggero del potere. Egli ritorna nella realtà ordinaria portando con sé il potere delle entità, che ancora – o di nuovo – esistono in armonia con l’universo.
Quelle entità sanno di che cosa noi esseri umani abbiamo bisogno per riacquistare salute e benessere.
Possono aiutarci a superare le nostre disarmonie, a sciogliere i nostri blocchi e a guarire i nostri sentimenti di alienazione e isolamento.
Il Core Shamanism fornisce un’immagine chiara e pratica della transizione da una coscienza-realtà a un'altra.
Questa transizione è il tunnel tra le due realtà.
Poiché si trova in innumerevoli fiabe e miti, indubbiamente conoscete già il motivo del tunnel come legame e soglia tra le varie realtà.
La fiaba ben nota di “Frau Holle” contiene un buon esempio di questo motivo.
Maria, che è stata rifiutata dalla matrigna, si punge inavvertitamente un dito filando e, mentre cerca di lavare il fuso dal suo sangue, precipita in un pozzo (il tunnel).
Quando riacquista conoscenza, si ritrova nell’Altro Mondo di Frau Holle.
Questa è la più semplice introduzione alla comprensione del viaggio sciamanico nella realtà non ordinaria.
Forse ricordate che anche la sorellastra preferita di Maria si avventura nell’Altro Mondo di Frau Holle, ma con scopi impuri.
Ella si getta deliberatamente nel pozzo, ma soltanto per essere ricoperta di pece e venirne ricacciata fuori.
Parlando simbolicamente, si potrebbe dire che la persona depressa è similmente ricoperta di pece appiccicosa, ma non sa come sia successo e come può ripulirsi.
Non c’è quasi differenza tra l’esperienza di iniziazione vissuta dalla persona depressa e quella vissuta normalmente dallo sciamano.
Spesso la vita di entrambi è stata piena di eventi traumatici come l’abbandono, lo sfruttamento, l’abuso, le malattie, le esperienze di pre-morte, la perdita di membri importanti della famiglia, emigrazioni, guerre, ecc, la fuga in un altro mondo è spesso l’unico modo per l’anima di sopravivere.
La persona depressa è un essere umano che ha vissuto un’iniziazione.
Egli ha accesso ad altre coscienze-realtà, ma non è consapevole di questo dono, né capace di usarlo in modo efficace.
Infatti, difficilmente ci si può aspettare che lo sia, perché non ha beneficiato di una iniziazione formale.
info:http://www.studisciamanici.it/Zumstein/SciamanismoeDepressione.htm
matrona
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