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Le pietre mobili della Death Valley

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Le pietre mobili della Death Valley Empty Le pietre mobili della Death Valley

Messaggio Da matrona Gio Nov 19, 2009 10:38 pm

Le pietre mobili della Death Valley Rock2


L’enigma delle pietre mobili nella Death Valley della California
Un notevole contributo alle conoscenza naturalistiche popolari nella seconda metà del 20° Secolo è venuto dai documentari prodotti dalla Disney, che ci hanno fatto scoprire molti aspetti della natura segreta del continente nord americano, dalle regioni fredde del Canada ai torridi deserti ai confini con il Messico.
Nell’ambito del Nuovo Mondo un particolare fascino promana proprio dai deserti sud-occidentali, i principali dei quali sono il Mojave Desert ed il Sonoran Desert.
Il Deserto di Mojave (pronunciato “mo-have” o “mogeiv” secondo che prevalga la pronuncia ispanica o quella anglosassone) interessa gli stati della California e del Nevada; nella parte sud-orientale della California americana il fiume Colorado lo divide dal deserto di Sonora che si estende fino a Phoenix e Tucson in Arizona e a Sud sconfina nel Messico.
In particolare, la nostra attenzione è sempre stata attratta da quella parte del deserto di Mojave dove vi è la più profonda depressione degli Stati Uniti, 86 m sotto il livello del mare: la Death Valley, Valle della Morte, circa 150 km a Nord-Ovest di Las Vegas, uno dei luoghi più inospitali di tutto il pianeta.

Un viaggio impegnativo
Chi intende raggiungere la Death Valley in genere parte dalle più importanti città della regione, che sono Los Angeles, San Diego e Lad Vegas. Noi abbiamo scelto la soluzione più avventurosa ed abbiamo affittato un fuoristrada nella capitale del gioco d’azzardo per “puntare a Ovest”. Uno dei problemi che si incontrano è quello del caldo: ci siamo fermati ad una stazione di servizio, che sembrava tratta pari pari da un telefilm assieme al tipico signore anziano che la gestiva, per acquistare delle bibite e ci siamo sentiti raccontare l’immancabile aneddoto. Alcuni anni prima, un giovane pilota inesperto era atterrato lungo la strada perché aveva perso l’orientamento ed aveva esaurito il carburante; il motore del suo Piper Cub funzionava regolarmente anche con il “mogas”, la benzina per autotrazione, ed il ragazzo aveva chiesto al vecchietto di fargli il pieno, poi aveva girato il muso dell’aereo contro vento cominciando a rullare a tutta manetta, ma l’aereo non si alzava.
Era estate e la temperatura era di 113° (45° C) e i poco più di 100 cavalli dell’aereo non bastavano a farlo decollare nell’area rarefatta per una temperatura così alta.
Il ragazzo dovette attendere il tramonto per potersene andare…

Come campo-base per la nostra escursione abbiamo puntato sul Visitor Center di Furnace Creek, dove ci siamo documentati sugli aspetti più critici per cui vuole visitare la regione: per combattere la disidratazione bisogna essere sicuri di avere una riserva d’acqua di circa quattro litri per persona al giorno; d’estate non conviene allontanarsi dalla strada, in quanto se il mezzo ha un’avaria, sarà più rapido il soccorso; in caso di piovaschi improvvisi evitare di procedere sul fondo di un “canyon” perché si potrebbe essere travolti dall’acqua; non entrare nei cunicoli delle miniere abbandonate, in quanto potrebbero essere pericolanti o saturi di gas velenosi; stare attenti a dove si mettono le mani e i piedi in quanto è possibile la presenza di serpenti a sonagli, scorpioni e ragni velenosi.

Come si è detto, il maggior numero di incidenti si deve alla sottovalutazione della temperatura che, di giorno, è di 27°-37° C in primavera e 37°-46° in estate, mentre nel resto dell’anno varia (parliamo sempre delle massime) tra 18° e 27° C. Come è tipico del deserto, la notte può essere piuttosto fredda e in inverno le minime sono di 4°-9° C.
Curiosamente, le temperature minime e massime assolute più estreme di cui si abbia la registrazione si sono avute nello stesso anno, il 1913, quando in una notte di gennaio si è arrivati a -9° C, mentre in luglio a mezzogiorno il termometro è salito a ben 57° C, uno dei massimi assoluti del pianeta!
Nell’ambito delle molte località interessanti che si possono visitare nella Valle della Morte ovviamente abbiamo scelto la più segreta e misteriosa: l’Ubehebe Crater e la Racetrack Playa, la Spiaggia dell’Ippodromo, con le sue incredibili “moving rocks”, rocce mobili.
Si tratta di un percorso di 43 km che inizia, appunto, con il cratere vulcanico Ubehebe e finisce con la spiaggia asciutta dell’Ippodromo, lungo una strada che risulta appena accettabile per un normale veicolo a trazione anteriore e sulla quale ci si trova certamente più a proprio agio con un 4×4.

Le pietre che camminano
Benché non siano tra i più clamorosi misteri di questo pianeta, le “moving rocks” della Valle della Morte continuano a sfidare ogni spiegazione: sulla Playa asciutta e dura del Racetrack si vedono alcuni radi massi (oggi si fatica a localizzarne più di tre o quattro) e la maggior parte di essi è all’estremità di una traccia che fa pensare che abbia “camminato”, talvolta con andamento grosso modo rettilineo, talvolta circolare, sul letto della depressione.
Ma, come se non bastasse, mistero nel mistero, nessuno può dire di aver mai visto queste pietre mentre si muovono!
I Rangers cercano di dissuadere i turisti dall’affrontare il Racetrack, anche perché le “moving rocks” sono poche e si suppone che qualcuno non esiti a rubarle come “souvenir”, visto che si trovano delle tracce che finiscono senza che all’estremità vi sia nulla; inoltre, incursioni di veicoli potrebbero guastare il paesaggio con tracce “spurie” di pneumatici.

Diciamo subito che il Racetrack è quanto mai suggestivo, indipendentemente dalle pietre, come del resto ogni parte del Deserto di Mojave, ma anche vedere di persona questi massi con la loro lunga traccia sul terreno di argilla secca non aiuta assolutamente a comprendere come si possa produrre il fenomeno.
Sembra quasi che si preferisca mantenere il mistero inviolato e, per quanto ne sappiamo, nessuno ha studiato a fondo le pietre che si muovono con adeguata strumentazione scientifica. I Rangers ripetono che non risulta che nessuno abbia mai potuto vedere il movimento delle pietre né misurarlo e, in effetti, non si può neppure essere del tutto certi che le rocce si muovano!
Sull’argomento non è facile trovare documentazione: sappiamo che nel 1969 Robert P. Sharp del California Institute of Technology iniziò uno studio accurato e prese in esame 25 rocce, delle quali periodicamente controllava la posizione.
Una di esse aveva lasciato dietro di sé una traccia lunga 64 m. Tuttavia, le condizioni climatiche proibitive e la mancanza di sponsorizzazioni ufficiali all’impresa non hanno portato nessuno ad affrontare queste problematiche con gli unici mezzi che potrebbero dare un contributo determinante alla soluzione del mistero: telecamere fisse e rilevatori satellitari di posizione.

Tutto fa pensare che le pietre effettivamente si muovano ma, come abbiamo detto, non vi è alcuna testimonianza di ciò se non la traccia al suolo.
Qualcuno ha detto che le teorie che sono state formulate per spiegare come si producano la traccia al suolo ed il movimento, apparente o reale che sia, sono tante quanti sono i geologi che se ne sono occupati. La teoria prevalente chiama in causa forti piogge (anche se in media sulla Death Valley non ci sono più di 50 mm l’anno di precipitazioni) che renderebbero viscido il fondo della Racetrack Playa; a questo punto forti venti potrebbero essere in grado di spingere le rocce, sia con moto rettilineo costante che con cambiamenti di direzione.
Secondo Sharp se si potesse dimostrare che i movimenti delle pietre avvengono soprattutto nei mesi invernali, si potrebbe chiamare in causa uno strato di ghiaccio sulla superficie della Playa, in presenza del quale i forti venti che si incanalano tra i monti Amargosa e Panamint avrebbero buon gioco.
Questa spiegazione non è del tutto ineccepibile ma non chiama in causa ipotesi più fantasiose come terremoti o perturbazioni del campo magnetico.
Per dovere di obiettività, bisogna riportare anche il parere dei più scettici: le pietre non si muovono affatto, se non quando qualcuno le trascina, per gioco, per burla, per continuare qualche antico rituale tribale dei nativi, gli indiani Panamint, o per mantenere viva un’importante attrazione turistica.

Gli studi di Paula Messina

Dal 1993 tra i più attenti studiosi del fenomeno delle rocce mobili della Racetrack Playa, nella Valle della Morte, vi è la Dr. Paula Messina, assistente di geologia presso la San Jose State University (California).
Secondo la Dr. Messina l’elemento fondamentale del fenomeno è il vento: nell’ambito della Death Valley, l’area della Racetrack Valley ha un suo proprio microclima, più piovoso, rispetto al resto della regione, e con temperature invernali molto più rigide. Lo stretto passo all’estremità sud-occidentale della valle costituisce un imbuto naturale all’interno del quale sono convogliati venti molto forti, i cui effetti arrivano a sagomare in modo curioso le rocce (si parla di “ventifacts” o “ventifatti”, oggetti fabbricati dal vento) con getti di sabbia abrasiva trascinata a velocità da uragano.

Lo studio accurato delle rocce, con il ricorso a tecniche sofisticate, è stato di poco aiuto, anche perché le rigide norme che regolano le attività nei parchi naturali vietano di impiantare stabilmente qualsiasi tipo di attrezzatura, ma appare credibile che i movimenti avvengano quando il vento raggiunge la velocità di un uragano ed il suolo è reso scivoloso dalla pioggia o dal ghiaccio.
Paula Messina e la sua squadra di ricercatori hanno rilevato che le pietre mobili non sono soltanto nella Valle della Morte e in California e Nevada vi sono altre otto località nelle quali il fenomeno si presenta.

Le pietre mobili della Death Valley Rock5Le pietre mobili della Death Valley Rock6


sito:http://mmmgroup.altervista.org/i-rocks.html
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Messaggio Da matrona Gio Nov 19, 2009 10:43 pm

haaa.. non si vedono le immagini Sad
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