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Messaggio Da Mik Darko Sab Feb 13, 2010 4:53 pm

Un viaggio metafisico dentro le coscienze, dentro la psiche. Un percorso gnoseologico che ci trascina in un vortice di dubbi e fa riflettere. Non è un film facile, e va riconosciuto ad Aronofsky il merito di aver raggiunto il suo scopo, quello di straniarci. Tre sono le storie che si intrecciano, una sola la verità. La vita. Al di là della concezione di essere e non essere, Tomas si ricongiunge col tutto, fa pace con l'universo, che sia il suo mondo interiore o quello fisico, e compie un'estrema rinuncia... per amore.

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Trama
Hugh Jackman interpreta Tomas Creo, un ricercatore in una clinica di studio del cancro al cervello. Su di lui pesa la responsabilità verso la moglie bellissima e malata per la quale Tomas combatte giorno e notte nel tentativo di trovare una cura. In continua lotta e relazione con la tematica della morte, la storia mescola realtà e fantasia facendo scontrare in maniera quasi speculare il racconto epico scritto dalla moglie, l'ego razionale dello scienziato e la dura realtà. In un contesto dove la trama principale perde man mano d'importanza col proseguo della storia, l'unico personaggio del protagonista si scinde pian piano in tre per affrontare le sue sfide e riunirsi in uno subito dopo. Il romantico conquistador, partorito dal libro della moglie, pronto a sacrificar tutto e tutti per salvare la sua amata; il zelante monaco che mortificando il corpo in favore dell'anima si dedica con pazienza certosina al suo lavoro e l'uomo che deve affrontare ogni giorno cose più grandi di lui si affrontano e si confrontano all'ombra dell'Albero Della Vita. La mitica pianta opposta all'Albero Della Conoscenza, di cui narrano le leggende religiose occidentali e Maya e che costruisce nello stesso tempo la vittoria e la resa davanti alla morte. Contro di loro: Xibalba, galassia morente e regno dei morti, dove la vita tocca il suo minimo e subito dopo il suo massimo in una continua rigenerazione.

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Commento
Sarebbe facile etichettare "The Fountain" come un film New Age. Sarebbe facile, ma sarebbe sbagliato, perché al di là di alcuni particolari comuni anche al movimento New Age, la pellicola di Aronofsky non è un film sulla religione o sulla spiritualità, e non tratta in alcun modo gli argomenti che sono alla base della concezione New Age del mondo.
"L'albero della vita" è un film d'amore, perché il fulcro del film non è la ricerca della vita eterna, ma il tentativo di far vivere il più a lungo possibile la storia d'amore più importante della propria vita. E' un raro film di fantascienza che si basa sui personaggi e sulla loro storia piuttosto che sugli effetti speciali, e forse proprio per questo riesce a rendere vivo il mondo che ci racconta nonostante il suo sostanziale irrealismo.
Ricco di temi e di influenze quanto e forse più dei precedenti film di Aronofsky, "The Fountain" utilizza l'incrocio di linee temporali alla maniera del Sergio Leone di "C'era una volta in America". La tecnica è efficace in particolar modo nella prima parte del film, mentre man mano che la narrazione procede i 'blocchi' si fanno più lunghi e meno collegati tra loro. Ma tutto il film è girato magistralmente, anche grazie all'impianto scenico immaginato da James Chinlund e alla fotografia del sempre bravo Matthew Libatique. Non c'è dubbio, poi, che le splendide musiche di Clint Mansell aiutino molto la riuscita delle atmosfere volute dal regista, che comunque ha fatto la scelta giusta nell'utilizzare microfotografie di reazioni chimiche invece degli effetti speciali più facilmente realizzabili con un computer, dando così un look davvero inedito alla pellicola.

The Fountain - L'Albero della Vita Fountain
Recensione
Sinceramente non capisco perché questo film sia stato così ferocemente attaccato dalla critica; sembra quasi che dall'alto del loro piedistallo i critici cinematografici si sentano minacciati e offesi nel profondo se messi di fronte ad un film onirico, allucinatorio, dalla trama criptica e la fotografia ridondante. Si, va riconosciuto che The Fountain è un film pretenzioso ma il concetto di fondo su cui si basa poteva essere trattato solo con presunzione; in questo film, a prescindere dalla tecnica, vi è il riassunto di tutta la filosofia umana: la ricerca spasmodica di comprendere la morte.

Di fronte a questo diventa superficiale chiedersi se le sue scelte visive e tecniche siano consone o no, credo che il regista voglia porre l'attenzione semplicemente sulle sensazione che tale ricerca provoca in noi; la potenza delle immagini (come in Requiem For A Dream)serve a creare quella angoscia di fondo nello spettatore, che produce la condizione iniziale per poter vedere un film di Aronofsky: la completa disposizione ad assorbire il messaggio visivo. Durante la proiezione il senso d'angoscia costringe ad assimilare tutte le immagini senza elaborazioni a priori, trasformando la visione da una semplice analisi ad una esperienza emotiva. In The Fountain il senso di misticità che permea il film crea questo rapporto di dipendenza in maniera tale da permettere allo spettatore di vivere il film nella maniera corretta, cioè avvertendo dentro di se quella sorta di stupore/angoscia/paura esistenzialista che si prova nel ragionare sulla vita e sulla morte. Alla fine del film non rimane (come nel caso dei critici) la rabbia per non aver ben capito la trama o per le scelte tecniche pretenziose, ridondanti o chiassose; rimane quella sensazione che crea soddisfazione solo in quelle persone che realmente amano ogni tanto porsi domande sull'esistere. Ho letto critiche sostenere che Aronofsky piace solo al pubblico incolto, beh credo che almeno il pubblico incolto sappia diventare ricettivo verso un film senza nascondersi dietro bagagli (presunti) culturali e didattici. Il vero errore è avere delle attese a priori: i film di Aronofsky vanno presi così, come esperienze visive, sonore ed emotive, da rielaborare a posteriori (mi si permetta il paragone azzardato con Lynch). Concludo dicendo che trovo assurdo criticare questo film per la ridondanza di immagine, non dimentichiamoci che un capolavoro come 2001 Odissea nello spazio si basava totalmente sull'immagine, poiché la trama era stata stravolta da tagli nella sceneggiatura voluti dallo stesso Kubrick, perché al regista interessava puramente l'aspetto grafico. Inoltre registi come Kim Ki Duk hanno sempre privilegiato l'immagine (un ottimo esempio è Ferro 3, La Casa Vuota) proprio perché il cinema è l'unico mezzo di comunicazione che dà la possibilità di farci VEDERE ciò che magari non vedremo mai... quindi ben venga la ridondanza...ben vengano le galassie, le bolle, i santoni pelati e gli alberi pelosi ...basta solo lasciarsi andare alla fantasia e prendere questo film come realmente merita: un viaggio onirico. Contraddire questo ragionamento sarebbe come dire ad Omero di eliminare l'Odissea.

Quindi mettetevi comodi e immergetevi nelle immagini e nella colonna sonora (magnifica); alla fine vi sentirete come dopo aver sognato: vi svegliate storditi senza aver capito il senso ultimo della cosa, ma rimarrete tutto il giorno con quella sensazione appiccicata addosso, che vi angoscia ma in fondo in fondo vi piace.

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